Bracciano, Roma

domenica 16 agosto 2009

   

 

                                   

 

                                   

 

 

 

Pianeta Terra -

Inquinamento da plastica:

possiamo limitare

il fenomeno con

l'eliminazione delle buste

per la spesa

 

                                   

 

                                   

 

 

 

di Iris Novello

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

"NO! - The more we say it, the less we waste",

"NO! - Più lo diciamo, meno gettiamo" - la campagna ambientale di

IKEA Singapore.

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

Sorvolando il largo della California e

attraversando il Pacifico Meridionale in

direzione Giappone si nota un enorme

vortice di colore verde.

 

Non sono alghe come qualcuno

potrebbe pensare, ma è un immensa

quantità di rifiuti, formata quasi tutta da

plastica, valutata in 10 milioni di

tonnellate.

   

 

                                   

 

                             

 

                                   

 

                         

Salta la lettura

   

 

                                   

 

                                   

 

 

 

Se la andate a cercare nelle mappe satellitari non la

vedete perché la plastica, essendo traslucida, non

viene rilevata.

 

 

L'unico sistema per rendersi conto di quanto

imponente è il disastro ecologico è trovarcisi in

mezzo.

 

Uno spettacolo davvero penoso che ci fa ricordare

quanto poco ci teniamo alla Terra che ci ospita e, di

conseguenza, alla nostra salute.

 

 

Grazie ad un gioco di correnti sottomarine, tutta la

plastica che viene gettata in mare si raccoglie in due

zone dell'Atlantico collegate tra loro, la prima si

trova a 500 miglia nautiche al largo delle coste

californiane e circonda con il suo micidiale

girotondo le Hawaii, mentre la seconda interessa la

parte orientale del Pacifico e lambisce le coste

giapponesi.

 

L'oceanografo Charles Moore ha spiegato che il

gigantesco ammasso di spazzatura scoperto da lui

nel 1997 si è formato negli Anni '50 e si sta

espandendo ad un ritmo costante perché

ininterrottamente alimentato dagli scarti che

provengono per il 20 per cento dalle navi e dalle

piattaforme petrolifere e per l'80 per cento

direttamente dalla terraferma.

 

 

L'agglomerato di monofilamenti di plastiche e fibre

di polimeri è grande quanto l'Europa ed in alcuni

punti raggiunge la profondità di 10 metri.

 

 

Le conseguenze dell'ammassamento dei rifiuti in

questa vasta zona sono disastrose, infatti, secondo

l'UNEP, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite,

a causa dei frammenti di plastica ogni anno muoiono

più di 100mila mammiferi e 1 milione di uccelli.

 

La ragione per cui le discariche del mondo non sono

inondate di plastica è perché la maggior parte di

essa finisce nell'oceano.

 

 

Le classiche "buste per la spesa" che molti

supermercati regalano o cedono a prezzi irrisori,

fanno la loro parte nel disastro ambientale.

 

Il costo per il riciclo delle buste di plastica è

altissimo, basti pensare che per recuperarne una

tonnellata la spesa si aggira sui 4mila dollari, mentre

la stessa quantità si vende al mercato delle materie

prime a 32 dollari.

 

 

Per questo motivo meno dell'1 per cento dei

sacchetti di plastica viene riciclato, così il resto

finisce trascinato in differenti luoghi della nostra

terra, fino ai nostri mari, laghi e fiumi.

 

I sacchetti trovano la loro strada verso il mare nelle

fogne e negli impianti idraulici, si sono visti

sacchetti di plastica galleggiare a nord del Circolo

Artico vicino a Spitzbergen e molti di più al sud,

nelle Isole Malvine.

 

 

Un'informazione emessa dall'Agenzia di Protezione

Ambientale degli Stati Uniti rivela che si consuma

approssimativamente ogni anno, in tutto il mondo,

tra 500 bilioni e un trilione di sacchetti di plastica.

 

 

Una quantità enorme che con il passare del tempo si

decompone in petro-polimeri più piccoli che

contaminano terreni e vie fluviali con la conseguente

immissione di microscopiche particelle tossiche

nella catena alimentare.

 

L'effetto sulla vita marina è catastrofico (riporto

WWF 2005), gli uccelli restano incastrati senza

speranza, circa 200 differenti specie di vita marina,

incluse balene, delfini, foche e tartarughe, muoiono

a causa delle borse di plastica, dopo aver ingerito i

sacchetti che scambiano per cibo.

 

 

Alcuni Stati si sono attrezzati per bloccare il

fenomeno.

 

L'Irlanda nel 2002 è stato il primo Paese in Europa a

inserire definitivamente la tassa sui sacchetti di

plastica, riuscendo così a ridurre il consumo del 90

per cento (BBC Noticias 20 agosto 2002).

 

 

Francia e Gran Bretagna stanno già utilizzando buste

prodotte con materiali del tutto naturali come mais,

olio di girasole, pomodoro e patata.

 

In Australia meridionale, dove il consumo annuale

superava i 4 miliardi, le multe per chi usa i classici

shopper vanno da 160 a 2.500 dollari.

 

 

Il Bangladesh ha proibito i sacchetti di plastica

(MSNBC.com 8 marzo 2007) così come il Rwanda,

Israele, Canada, India dell'ovest, Botswana, e

Singapore hanno proibito o sono in processo di

proibire le buste di plastica per la spesa

(PlanetSave.com 16 febbraio 2008).

 

Il 27 marzo 2007 San Francisco ha dato il via alla

proibizione, Oakland e Boston stanno seguendo

l'esempio della città californiana.

 

 

Persino la Cina, nazione che produce più rifiuti al

mondo (di buste ne consumava 3 miliardi al giorno)

nella lotta contro l'inquinamento "bianco" ha

superato molti altri Paesi più sviluppati con un

risparmio annuo di 37 milioni di barili di petrolio.

 

 

Prima con l'introduzione di forti tasse sui sacchetti

prodotti con materiali più resistenti in modo da

essere più volte utilizzati, poi con la distribuzione

gratuita di borse in tela, pare che la Cina abbia

adottato un modello di sensibilizzazione ai problemi

ambientali che ha favorevolmente impressionato

anche Greenpeace.

 

In Italia invece siamo ancora fermi, anzi abbiamo

compiuto dei passi indietro, visto che nel 1989 una

sovrattassa di cento lire fu imposta su ogni

sacchetto, ma venne silenziosamente abolita cinque

anni dopo, nonostante si fosse ridotto il consumo

del 34 per cento.

 

 

In seguito all'interessamento del Presidente della

Commissione Ambiente alla Camera, Ermete

Realacci, il maxiemendamento inserito nella

Finanziaria 2007 (comma 1130) prevedeva una

normativa volta al disincentivo delle classiche buste

di plastica e la sostituzione degli shopper in

polietilene con sacchetti biodegradabili entro il 2010,

così come previsto dall'Unione Europea con la

direttiva EN 13432.

 

Purtroppo il programma stipulato non è mai partito.

 

 

Dunque la scadenza del 1 gennaio 2010 per mettere

al bando i vecchi sacchetti di plastica è saltata e

poco importa a qualcuno se per produrre le circa

200mila tonnellate di buste utilizzate dagli italiani

durante l'anno vengono impiegate 430mila tonnellate

di petrolio, pari, grosso modo, al consumo di

160mila automobili che percorrono 30mila km

all'anno.

 

E se questi dati non sono ancora sufficiente a far

capire la portata del fenomeno bisognerebbe anche

ricordare le 200mila tonnellate circa di CO2 emesse

in atmosfera.

 

 

Ma forse è solo fiato sprecato in un momento in cui

la crisi si fa sentire.

 

Quale Ministro si assumerebbe l'onere di un

provvedimento che potrebbe in teoria avere

ripercussioni negative sui già depressi consumi

delle famiglie italiane.

 

 

Da valutare anche gli interessi delle ditte che

producono i sacchetti e poi, non di poco conto, il

rispetto degli accordi intrapresi con i Paesi che

forniscono il petrolio.

 

Non scordiamoci che le buste di plastica sono fatte

di polietilene, un termoplastico che si ottiene dal

petrolio.

 

Riducendo l'uso dei sacchetti di plastica si

diminuirebbe il consumo di petrolio, risorsa non

rinnovabile, ma oggetto di scambio (e che provoca

molte guerre).

 

 

Ma se dall'oro nero si passasse alle materie prime di

origine vegetale l'ambiente ne gioverebbe parecchio,

anche se il problema dell'inquinamento da buste non

sarebbe ancora del tutto risolto, sarebbe

notevolmente limitato.

 

 

Prova ne è la bioraffineria in funzione a Terni dal

2007.

 

Lo stabilimento d'avanguardia, frutto di un accordo

tra Novamont (un'azienda nata da un centro di

ricerca Montedison) e Coldiretti, produce Mater-Bi,

una pellicola tecnologicamente innovativa che si

decompone nell'ambiente in maniera quasi indolore.

 

 

Mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole

sono sufficienti per produrre circa 100 buste di

bioplastica e secondo i calcoli della Coldiretti per

sopperire al fabbisogno italiano basterebbe coltivare

un quinto delle terre non utilizzate, ovvero 200mila

ettari.

 

Il vantaggio che ne trarrebbe l'ambiente sarebbe

notevole se si considera che un chilo di polietilene

comporta l'emissione di due chili di anidride

carbonica, mentre da un chilo di bioplastica

vengono rilasciati solo 800 grammi di CO2.

 

 

Ma la bioraffineria lamenta il mancato appoggio

statale e rimane sola nell'affrontare il problema.

 

Bisogna fare qualcosa, e subito, perché dove non

arriva il Governo può subentrare la coscienza

ecologica delle persone e delle Istituzioni locali.

 

 

Ercolano in questo caso è di esempio.

 

Il Sindaco della famosa città in provincia di Napoli

senza aspettare le direttive del Governo ha messo al

bando i tradizionali sacchetti.

 

 

Se usiamo una borsa di tela, possiamo risparmiare

6 sacchetti a settimana, vale a dire 24 sacchetti al

mese, ossia 288 sacchetti all'anno, ovvero 22.176

sacchetti durante una vita media.

 

È possibile…

 

 

C'è gente che ignora tutto questo… ma tu no… tu

ormai lo sai, e ora che lo sai, puoi fare la tua parte

per non ferire ulteriormente il pianeta Terra.